Greenway

La Greenway

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La creazione di una rete di trasporto alternativo a basso impatto ambientale, nota come “mobilità dolce”, utilizzando linee ferroviarie dismesse e strade minori: è questa un’idea nata con il piano di mobilità non motorizzata approvato in Sicilia nel 2005 dall’Assessorato Regionale al Turismo, alle Comunicazioni ed al Trasporto.

In questo contesto è stata concepita l’idea di trasformare la tratta della ferrovia a scartamento ridotto “Salemi-Kaggera” di epoca fascista, non completata e di conseguenza mai entrata in funzione, in una suggestiva “linea verde” o “Greenway”. Un percorso ciclabile e pedonale, facilmente percorribile, che si snoda attraverso un paesaggio incantevole che racconta la storia del territorio interno trapanese. Una continua scoperta che consente di conoscere eccezionali testimonianze storico-monumentali, archeologiche e geologiche, e di ammirare rigogliosi aranceti, vigneti e oliveti, manufatti legati al mondo agricolo e pastorale e opere di ingegneria civile connesse al funzionamento della tratta ferroviaria stessa.

La Greenway trapanese è anche un hub strategico a partire dal quale si diramano sei ulteriori percorsi: uno che conduce a Buseto Palizzolo passando per il suggestivo bosco Scorace e altri cinque già tracciati dalla Rete Museale e Naturale Belicina: antropologico, archeologico, naturale, contemporaneo e della memoria, che consentono di dare una lettura interpretativa unica della civiltà mediterranea, dall’antichità fino ai giorni nostri.

Siti di interesse lungo la Greenway

Bosco Angimbè

Il Bosco Angimbè, situato a circa 4 km a nord di Calatafimi Segesta, è uno dei luoghi naturali più incantevoli di questa regione. Questa meravigliosa area verde si estende per ben oltre i 200 ettari, offrendo un vasto territorio in cui immergersi nella natura incontaminata.

è il luogo perfetto per praticare escursionismo e trekking nel territorio di Calatafimi Segesta. I sentieri costellati da grandi arbusti conducono attraverso questa scenografica area boschiva.

Sono disponibili visite guidate e seminari che spaziano dalla promozione di questo magnifico luogo alla sensibilizzazione sulle tematiche ambientali, con corsi che approfondiscono la conoscenza della botanica e della micologia.

All’interno si trovano punti ideali per pic-nic, giochi per bambini e aree con punti fuoco.

La fauna del Bosco Angimbè è ricca e variegata, con numerose specie di mammiferi, anfibi e una grande presenza di uccelli migratori. È un luogo ideale per gli appassionati di birdwatching.

Qui crescono oltre 700 specie botaniche, tra cui querce da sughero, lecci e alcune piante endemiche che si trovano solo in questo territorio.

 

Parco Archeologico di Segesta

Santuario di Contrada Mango

Tra le aree sacre della città di età arcaica e classica, oltre a quello sulla Collina occidentale con il grande tempio dorico, c’era anche il Santuario extraurbano di Contrada Mango, le cui rovine si possono scorgere dal percorso. Ubicato alle pendici sud-orientali del Monte Barbaro, in un contesto naturalistico di grande pregio, il santuario è prospiciente il Vallone della Fusa e il fiume Gaggera, che marca profondamente il paesaggio sacro. L’area sacra si presentava sfarzosa e monumentale. All’interno di un poderoso muro di recinzione e terrazzamento sorgeva un grande tempio dorico (28×56 m): un periptero (circondato da colonne), con pronao (vestibolo), cella e opistodomo (ambiente retrostante). L’edificio, che si conserva a livello di fondazioni, è stato datato alla metà circa del V sec. a.C. e collegato alla cultura architettonica selinuntina. È il primo tempio periptero fatto costruire dalla comunità segestana. Dall’area sacra provengono vasi greci, ceramiche di produzione locale, frammenti di sculture in marmo e oggetti in metallo, tra cui numerose armi in bronzo e in ferro. Il santuario era frequentato da uomini e donne durante rituali individuali e/o collettivi. Rimane sconosciuta l’identità della divinità a cui era consacrato.

Visitabile accedendo al Parco Archeologico di Segesta.

 

I “Giardini del Kaggera”

Conservano varie testimonianze riferibili ad antichi sistemi irrigui, di tradizione islamica, che documentano la perfetta relazione tra gli equilibri naturali e l’azione dell’uomo stabilitasi nel corso dei secoli. Un luogo dove regna il silenzio accompagnato solo dal suono dell’acqua. Oltre alle gebbie e alle cube, connotano il paesaggio agrario anche le zachie, ovvero canali che convogliavano l’acqua del fiume Gaggera per azionare i mulini, dislocati lungo il suo corso, e garantire l’irrigazione dei terreni circostanti. Il flusso dell’acqua era regolato mediante una saracinesca in legno chiamata in dialetto “zappeddu”.

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All’uso sapiente dell’acqua si ricollega anche il suggestivo lavatoio del lino usato in passato per lavare i panni e, in seguito, anche per la macerazione del lino, coltivato nelle campagne calatafimesi fino agli anni Cinquanta del Novecento. Di particolare fascino è la cosiddetta bocca della verità, tre aperture naturali nel costone roccioso che sembrano disegnare gli occhi e la bocca di un mascherone.

Bocca della verità copy

Lungo questo tratto del percorso si possono ammirare olivi secolari e rigogliosi agrumeti, coltivati con metodi tradizionali, che producono l’Ovaletto di Calatafimi, un’arancia bionda di forma ovale, senza semi e dalla buccia particolarmente profumata. È una cultivar tardiva che matura in primavera. L’Ovaletto è stato inserito dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali regionali.

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Stazione Ponte Patti

Lungo la tratta ferroviaria dismessa resta la stazione intermedia di Ponte Patti, un semplice e funzionale fabbricato, concepita al servizio dell’attuale centro abitato di Calatafimi-Segesta. Da questo punto è possibile iniziare la visita della città.

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Antica Trasversale Sicula e Via Francigena Mazarense

Da questo punto ci si può immettere nell’Antica Trasversale Sicula, un lungo cammino da Camarina a Mozia, e nella Via Francigena Mazarense. Due percorsi, tra storia e natura, che svelano la ricchezza e la varietà culturale della Sicilia.

 

Abbeveratoio di Contrada Canale e Abbeveratoio di Contrada Rio

Abbeveratoio Canale (1)

Simboli dell’antica cultura rurale, gli abbeveratoi sono vasche in pietra o in muratura che fornivano acqua alle greggi, alle mandrie, agli animali da soma e agli uomini che transitavano nelle campagne, dove gli elementi architettonici erano in simbiosi con il paesaggio. Spesso utilizzati per scopi irrigui, i bevai in taluni casi funzionavano anche come lavatoi. Potevano essere accostati a una fontana e decorati con brevi epigrafi, stemmi, sculture e immagini a carattere sacro. Pur nella semplicità delle forme e dei materiali usati, gli abbeveratoi mostrano efficaci accorgimenti tecnici per convogliare l’acqua delle sorgenti, sfruttandone la naturale caduta, e per consentire di attingerla.

Lungo la tratta dismessa si incontrano l’abbeveratoio di Contrada Canale e l’abbeveratoio di Contrada Rio. L’abbeveratoio di Contrada Canale, a cui è annessa una semplice fontana, è formato da un sistema complesso di vasche, collegate tra loro, e di sovrappieni che poi versavano l’acqua nel canale e successivamente nel fiume, esempio straordinario di gestione dell’acqua di tradizione islamica. Nel muro è inserito un bassorilievo raffigurante la Madonna con il bambino, che richiama l’iconografia del trittico marmoreo conservato nella chiesa della Madonna di Giubino di Calatafimi-Segesta. La Madonna ha uno strettissimo legame con il mondo rurale: ogni anno, infatti, la seconda domenica di luglio la Madonna nella sua vara lignea viene trasportata nel suo santuario di campagna dove resta fino alla terza domenica di settembre, quando ritorna nel suo santuario di città. Sul muro del monumentale abbeveratoio di Contrada Rio si legge invece la data 1948, anno in cui fu costruito o più probabilmente restaurato.

 

Opere di ingegneria civile

Ponte 5 arcate (1)

Lungo il percorso sono presenti vari manufatti architettonici connessi al funzionamento della tratta ferroviaria che conservano intatto il loro valore ingegneristico. Di particolare pregio sono un lungo muro di contenimento in pietra, ad archi ciechi, un ponte a cinque arcate con ringhiera in ferro e balconi con balaustre in mattoni, realizzati per ragioni di sicurezza, e un sottopasso che conserva il tondo con il fascio littorio e l’indicazione dell’anno di costruzione (1929).

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Gessi di Contrada Margi

È una formazione di gessi del II ciclo (Gessi di Pasquasia) databile al Messiniano superiore. Sono gessi macrocristallini selenitici, con la tipica geminazione “a ferro di lancia”, immersi in una matrice gessarenitica e gessopelitica. L’area è di particolare interesse geologico e di grande rilevanza paesaggistica. In questi luoghi gessosi viene ricavata la materia prima per l’industria del gesso che lo estrae a ridosso di Pianto Romano.

 

Mulino dell’Arciprete

Uno dei luoghi più suggestivi dell’area calatafimese è il Mulino dell’Arciprete, recuperato da un privato grazie a un finanziamento del G.A.L. Elimos. Il mulino idraulico, a ruota orizzontale, prende il nome da Antonio Brandi, arciprete di Calatafimi tra il 1590 e il 1661, il quale fondò la Casa delle Orfane, a cui, tra le altre cose, assegnò come dote i frutti del proprio mulino chiamato a quel tempo dei “Garamboli”. Esso era parte di una rete di mulini ad acqua, alimentati da una rete di canali (zachie), sorta lungo il fiume Gaggera. Da tale presenza deriva la sua antica definizione di “flumen molendinorum”, ovvero “fiume dei mulini”.

È possibile visitare gli spazi interni del mulino e conoscere il processo di molitura del grano per la produzione della farina.

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Monumento Pianto Romano 

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Sulla sommità del colle detto “Pianto Romano” si erge l’omonimo monumento celebrativo edificato per ospitare le spoglie dei caduti dell’aspra battaglia di Calatafimi combattuta il 15 maggio 1860, lungo il versante occidentale dell’altura, tra i garibaldini e le forze borboniche, un evento decisivo per l’Unità d’Italia. Il sacrario, progettato da Ernesto Basile, venne inaugurato il 15 maggio 1892 in occasione della 32ª ricorrenza dello scontro. La base piramidale, con elementi che richiamano i templi del mondo classico, è decorata ai lati con due gruppi bronzei di Battista Tassara, raffiguranti lo sbarco dei Mille a Marsala e la battaglia di Calatafimi, ed è sormontata da un alto obelisco ornato da una corona di bronzo con la Trinacria e due palme. Alle spalle del monumento si apre “Il Viale della Rimembranza” che conduce ad una stele posta nel 1960, in occasione del centenario del combattimento, su cui si legge la celebre frase attribuita a Garibaldi e rivolta a Nino Bixio: “Qui si fa l’Italia o si muore”.

L’Amministrazione comunale di Calatafimi-Segesta il 15 maggio di ogni anno commemora la storica battaglia alla presenza di autorità locali e di altre provenienti da diversi comuni d’Italia e della comunità cittadina.

 

Comune di Vita 

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Il comune di Vita sorge alle falde del Monte Baronia. È il più piccolo borgo del trapanese e, dopo Erice, il più alto comune della provincia. La nascita del paese è legata al suo fondatore, Vito Sicomo di Calatafimi (1548-1626), che rivestì le più alte cariche del regno di Spagna.

Il paese è abbellito da pregevoli fontane e da numerosi murales, realizzati da artisti contemporanei, che decorano i muri e i portali delle antiche case disabitate. Il palazzo Daidone, costruito intorno alla fine del XIX secolo, costituisce uno degli edifici più importanti di Vita in quanto espressione della locale borghesia terriera. La Chiesa più celebre è quella dedicata alla Madonna del Rosario, conosciuta come Madonna di Tagliavia, le cui origini risalgono ad un evento prodigioso avvenuto nel 1896. L’attuale chiesa fu edificata nel 1933. Il culto per la Madonna di Tagliavia, raffigurata in un dipinto conservato all’interno della chiesa, trae origine dal santuario mariano di Tagliavia nel territorio di Corleone, dove i contadini e i massari di Vita accompagnavano i propri animali per ricevere la benedizione. La festa si celebra ogni anno nel giorno dell’Ascensione. Degna di nota è la Chiesa di San Francesco, con l’annesso convento allora dedicato a Nostra Signora della Concezione, costruita nel 1619 per volere del Barone Vito Sicomo. Parte del convento ospita oggi gli uffici del Comune. A poca distanza dal centro abitato, sulla cima del Monte Baronia, un tempo Feudo del Sicomo, si estende per quasi 67 ettari un bosco prevalentemente di conifere, luogo ideale per pic-nic, percorsi a piedi e in mountain bike.

Itinerari tematici da percorrere a partire dalla greenway

Itinerario Archeologico

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Un itinerario archeologico nel Belìce non può che partire dal Parco Archeologico di Selinunte e delle Cave di Cusa, uno dei più importanti del Mediterraneo per la posizione, il perfetto inserimento nel paesaggio, l’imponenza dei suoi templi. Dalla preistoria a quella greca, dalla cultura Elima a quella medievale, quest’ultima riconoscibile nella rocca di Entella e nella necropoli Pignatelli a Menfi. Nel Museo della Preistoria del Belìce a Partanna, i vasi dello stile del campaniforme, i resti di faune ed i corredi funebri provenienti dalle necropoli dell’area archeologica dello Stretto, raccontano la civiltà dei fossati. A Castelvetrano il Museo Civico espone il famoso Efebo di Selinunte, statua in bronzo di pregevolissima fattura (480-460 a.C.), insieme a vasi, lucerne e a una lamina in piombo (Lex sacra) con inscritta una legge del V sec. a. C. L’Antiquarium di Entella nel comune di Contessa Entellina e l’Antiquarium di Monte Adranone a Sambuca di Sicilia raccolgono numerosi oggetti della storia antica di questo territorio.

Segesta, dall’alto del Monte Barbaro, è uno dei centri indigeni tra i più importanti della Sicilia Occidentale, costituito dagli Elimi da un popolo di origine peninsulare. Questa città ebbe un ruolo preponderante negli avvenimenti storici che la portarono a ripetute lotte con Selinunte che sicuramente tentava di conquistarsi uno sbocco nel Mar Tirreno. Nel corso della prima guerra punica, si alleò con i Romani.

 

Itinerario Antropologico

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A Salemi il Museo del Risorgimento documenta il ruolo di questo territorio nelle battaglie per l’Unità d’Italia con abiti, armi e documenti del periodo garibaldino. Il nuovo Ecomuseo del Grano e del Pane, invece, valorizza e promuove la memoria collettiva di una comunità legata alla tradizione dei pani rituali e dei grani antichi. Il Piccolo Museo Agroforestale di monte Finestrelle, nel territorio di Gibellina, racconta le tradizioni del Belìce attraverso oggetti d’uso ed attrezzi legati alla cultura contadina. A Santa Ninfa il Museo dell’Emigrazione racconta dell’esodo verso altri Paesi nella prima metà del sec. XIX. A Santa Margherita di Belìce si rivivono le pagine e le storie del Gattopardo attraverso il manoscritto del famoso testo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa mentre il Museo EtnoAntropologico della Terra di Zabut a Sambuca offre ai visitatori l’ambientazione didattica dei cicli di trasformazione del frumento e del latte.

 

Itinerario Contemporaneo

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Un viaggio nell’arte contemporanea non può che iniziare da Gibellina nuova e dal Baglio Di Stefano, sede della Fondazione Orestiadi, attraverso la visita del Museo delle Trame Mediterranee, del Museo d’Arte Contemporanea “L. Corrao” e della città nuova, vero museo “en plein air” che ci dà la possibilità di godere di una delle collezioni d’arte contemporanea più importanti d’Europa frutto della solidarietà degli artisti di tutto il mondo per la ricostruzione della città. Da Gibellina verso Santa Ninfa, dove il Museo Nino Cordio offre la collezione che il grande maestro ha donato alla città, e proseguendo attraverso un paesaggio di particolare bellezza si arriva al grande Cretto di Alberto Burri realizzato come un grande sudario sulle rovine di Gibellina, distrutta dal terremoto. L’itinerario del contemporaneo si conclude a Sambuca di Sicilia con le opere tessili dell’artista francese Sylvie Clavel e quelle di Gianbecchina che raccontano le tradizioni agricole e il paesaggio.

 

Itinerario della Memoria

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Il più giovane tra i musei della rete è Belìce/EpiCentro della Memoria Viva a Gibellina, che racconta delle lotte della gente di queste terre a partire dalla marcia condotta da Danilo Dolci e Lorenzo Barbera nel 1967 per poi attraversare i dissensi popolari post-terremoto e ricostruzione. A Santa Margherita di Belìce, nel nuovo edificio che ingloba le rovine della chiesa Madre, distrutta dal terremoto del 1968, è stato allestito il Museo della Memoria, al suo interno immagini del terremoto, articoli di giornali del tempo e documenti raccontano il terremoto del Belìce. Due strutture che lasciano nel visitatore forti emozioni, i disagi e le vicende  di un popolo  che si deve riappropriare della propria identità e della bellezza dei luoghi che ha perso. Alcuni luoghi della Valle come il sito della vecchia Gibellina con il Cretto di Alberto Burri e i ruderi di Salaparuta, Montevago e Poggioreale conservano ancora oggi un certo fascino del passato e delle rovine.

 

Itinerario Naturalistico

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A caratterizzare il particolare paesaggio belicino le riserve naturali di Grotta di Entella e Grotta di Santa Ninfa, che permettono di visitare e conoscere le peculiarità geologiche, vegetazionali e faunistiche attraverso un’escursione nel tipico paesaggio dell’entroterra gessoso della Sicilia occidentale che si sviluppa nella Rocca di Entella e nel territorio compreso tra Santa Ninfa e Gibellina. Luoghi in cui la valle del Belìce si riesce a cogliere nella sua interezza fino a giungere nella Riserva naturale della Foce del Fiume Belìce e dune limitrofe, dove sulla riva costiera una flora dunale fa cogliere ulteriori peculiarità naturalistiche. Lungo questo territorio altri posti conosciuti più per l’interesse archeologico legato al periodo preistorico come la contrada Stretto a Partanna e il Castello della Pietra a Castelvetrano consentono di vedere una natura incontaminata conservata per secoli. Diverse aree forestali comprese tra Castelvetrano, Salemi, Santa Ninfa e Sambuca di Sicilia e in particolare la riserva Naturale di Monte Genuardo, offrono la possibilità di fruire e vistare vaste aree boscate e attrezzate per la fruizione. Di particolare fascino l’area dell’abbazia di Santa Maria del Bosco a ridosso di Sambuca di Sicilia nel territorio comunale di Contessa Entellina.

 

Percorso naturalistico e panoramico Buseto Palizzolo

Bosco Scorace – Monte Luziano

Il Comune di Buseto Palizzolo è una striscia di terra tra Erice e Segesta, dove si può ancora respirare l’odore della terra percorrendo i silenziosi sentieri che attraversano le verdeggianti contrade coltivate a vigneti, mandorleti e oliveti.

Una passeggiata tra le vie del paese e due luoghi di interesse naturalistico e paesaggistico da non perdere: il Bosco di Scorace, conosciuto anche come d’Arcudaci, e il Monte Luziano. Dal Bosco di Scorace, percorrendo i sentieri che portano al laghetto collinare un vero paradiso a 646 metri di altezza, è possibile ammirare un panorama di rara suggestione: da Bruca a Calatafimi-Segesta fino a Castellammare del Golfo. Salendo il Monte Luziano, e raggiungendo la vetta, è possibile assistere ad un panorama unico e impareggiabile da ogni lato: il Monte Cofano, il Monte Erice, che sovrasta la vallata Valdericina fino a spingersi verso la città di Trapani, le coste palermitane e quelle castellammaresi e, in lontananza, anche Mozia e lo Stagnone di Marsala.

Grazie alla sua posizione geografica, da Buseto Palizzolo si possono facilmente raggiungere in automobile: il paese di San Vito Lo Capo (31 km), la città di Trapani (16 km), il borgo medievale di Erice (18 km) e la città di Castellammare del Golfo (22 km).

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